Manifesto Ibridi

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We are at a real turning point and the main challenges require hybridization of skills, ability, intelligence and knowledge.

Because the challenges transcend the limits of traditional knowledge models.
Because the opportunities are often in the “middle-earth” between disciplines.
Because the questions and answers that are producing the most interesting ideas are often bridges between different visions.
Because research and innovative projects have logics and teams with hybrid expertise.

I know many hybrid talents, intellectuals and professionals, they able to recognize each other, however, they are lacking a common identity when the society has a great need for this “bridge skills.”

So, five years ago I wrote the first draft of the Manifesto Ibridi and today, thanks to three great persons that supported me in this project, is online!

 

IT

Siamo ad un punto di svolta epocale e le principali sfide necessitano di ibridazioni di competenze, capacità, intelligenze, conoscenze.

Perché le sfide trascendono i limiti dei modelli di conoscenza tradizionali.
Perché le opportunità sono spesso nella “terra di mezzo” tra discipline.
Perché le domande che stanno producendo le risposte e idee più interessanti sono spesso ponti tra visioni diverse.
Perché le ricerche e progetti più innovativi hanno logiche e team con competenze ibride.

Conosco tanti talenti, intellettuali e professionisti ibridi, capaci di riconoscersi tra loro, sono però privi di una identità comune quando la società ha un grande bisogno di “competenze ponte”.

Così 5 anni fa scrissi la prima bozza del Manifesto Ibridi e oggi, grazie a tre persone di grande valore che mi hanno supportato in questo progetto, è online!

Accept to dialogue with the future!

Ok, look this video of 5 years ago…

I remember very well the reactions of many people. Something like… “Come on! This is science fiction!”

The iPhone just entered in the market and its cultural revolution (and not just cultural) was at the beginning.

Now, look this last video of iPhone 4S…

Man… 5 years, just 5 years not 10 or 15.

Steve Jobs is dead and, like many other revolutionists, his vision will become stronger after the end of his life, because the void he leaves is a powerful messagge of how we need people like him.

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We live in complex and fast times, we need to learn how to dialogue with the future.

Remember that the innovation start from a mental shift!

So, accept the scary fact that you don’t know that you dont’ know, and before trying to find a solution, you have to find a good question.

[Image by acaben]

Donald Norman agrees!

I think that it’s time for a second new alliance between psychology and interaction design.

The evolution of the interaction as a social space needs new psychological points of view. The psychophysiologic, cognitive and behavioral points of view (part of the history of human computer interaction, from the beginning) are fundamental but not enough for the new variables, factors, dynamics and levels that emerge in social networks. The evolution of the mediated interaction as a social space is changing the user from just a behavioral and cognitive system in a more complex cognitive psychosocial and psychodynamic system.

During the event Meet the Media Guru in Milan, I asked Donald Norman an opinion about my point of view and this is his answer.

He agreed!

I think that these challenges and opportunities can’t be solved by anthropology that is too narrative as discipline. The alternative isn’t the reductionism but a balance between different psychological approaches.

The next day I talked with him about my PSIxD approach. Cross the fingers for me and stay tuned… ;)

Video by Roberto Bonzio (thanks)

BCI, a little psychodinamic question of user experience

The Emotiv device is a famous brain-computer interface. Recently the co-founder of the Emotiv Systems, Tan Le, showed the potentiality of her prototype at the TED.

I want to do a little question about the user experience of this kind of interface.
For example, moving objects with a touch screen, like the iphone, has a great affordance, because our natural interaction with the material world pass through movement and manipulation objects.

So, try to imagine the level of affordance if we just think a movement.
If in a touch screen we are in a user experience of interaction like manipulating a material object, with a brain-computer interfaces the experience is closer to move an arm.

The cognitive and psychodynamic effect on the users are not trivial.

There is a strong relation between emotions, motivations, desires and action.
If your presence in action (see the embodied cognition theory) can be in the same time material and digital, how could it change the relations between imagination and perception?

http://video.ted.com/assets/player/swf/EmbedPlayer.swf

Ibridi e la ricerca della via di mezzo tra conoscere e fare

Il famoso Clay Shirky, di cui vi suggerisco il testo “Uno per uno, tutti per tutti” (tradotto dal buon Federico) ci spiega il concetto di surplus cognitivo (titolo del suo nuovo libro) come potete vedere in questo suo ultimo speech al TED. Ennesima conferma sull’importanza degli incentivi intrinseci come dinamica motivazionale alla base dei comportamenti bottom-up in rete. Bene, ulteriore supporto a favore della mia prospettiva. Però l’impressione è che Shirky citi troppo spesso la generosità per sedurre e parli di masse in modo troppo ampio. Molti dei concetti e riflessioni che esprime sono condivisibili ma il suo stile sembra ogni tanto scivolare nell’ideologico.

Vi devo avvertire che potreste trovare la logia del post un pò meno lineare del solito ma ho preferito riportare parte del flusso di associazioni che, dal video di Shirky, mi hanno portato verso una riflessione più ampia sui professionisti ibridi, per esprimere non solo nei contenuti ma anche con la forma il divenire di una riflessione aperta in cui vorrei coinvolgervi.

Ho grande rispetto per Shirky, che ritengo fuor di dubbio bravo, devo però onestamente dire che sono in generale un pò stanco di questi punti di vista descrittivi, narrativi come anche, all’opposto, di quelli solo tecnici, verticali. Io come molti altri che si occupiamo in modo non convenzionale, di web, social networking, IxD, Ux, virtuale, interazione mediata, enterprise 2.0, ecc. siamo frequentemente impegnati nella sfida operativa di unire competenze verticali e orizzontali quando non facciamo solo ricerca eo la vogliamo applicare. Ma anche l’inverso, quando come consulenti eo imprenditori vogliamo utilizzare, per essere innovativi e competitivi, conoscenze di ricerca ed esperti d’alto livello. Per di più molte delle tematiche e sfide più importanti necessitano di soluzioni, competenze e team transdisciplinari quindi la complessità fa molto presto ad esplodere.

Per esempio, quando un network muta in luogo sociale dove gli utenti diventano “persone” che esprimono e co-costruiscono con gli altri la loro identità e presenza non bastano le sole competenze tecnologiche, di design, di architettura della informazione e nemmeno quelle di usabilità. Quali competenze, modelli, strumenti operativi usare e spesso “creare” per analizzare e progettare intorno ad utenti diventati ormai sistemi psicologici e sociali, in un artefatto non più solo cognitivo ma anche motivazionale, simbolico, sociale, ecc.? Questo è uno scenario complesso, ibrido non solo da capire, descrivere, rappresentare, ma anche in cui operare, applicare, scegliere, anticipare, investire.

Quindi va benissimo seguire quello che dice Shirky o le interessanti descrizioni di Danah Boyd ma se poi dalle riflessioni, dalle descrizioni, bisogna far nascere un progetto, delle prassi, degli strumenti operativi, una strategia ci vuole anche altro. Non sto criticando in generale necessità di avere punti di vista ampi, descrittivi, che aiutino a farsi un quadro di complessi scenari nuovi e in divenire ma fenomeni come il web e come certa ict (che stanno cambiando profondamente e a grande velocità la nostra quotidianità personale e professionale) necessitano di persone capaci di essere tanto teorici, quanto pratici, scienziati, quanto imprenditori, designer quanto ricercatori. Lo richiede proprio la complessità, la transdisciplinarietà e velocità del cambiamento.

Credo che il design come disciplina pratica che deve muoversi tra tanti saperi sia oggi potenzialmente molto fertile come prassi, punti di vista, talenti ma deve avere il coraggio e la capacità di saper integrare competenze più complesse, scientifiche e non accontentarsi di spiluccare qui e la o di nascondersi dietro i soliti guru. Sicuramente il design deve stare attento a non farsi intrappolare da discutibili determinismi di certe prospettive scientifico sperimentali che pensano di poter ingabbiare la realtà in un modello (vedi i limiti di certa psicologia sperimentale nella HCI). Ma il determinismo di certi contesti scientifici non può essere l’alibi per molti designer di non cercare un dialogo con saperi scientifici più dialogici e sensibili alla complessità dei fenomeni.

Sul versante ricerca invece c’è un parte di ricercatori, sempre nei campi web, ict, ecc. chiusi nel far paper per far paper. Ora, che sia chiaro, i paper sono strumenti fondamentali, imprescindibili della ricerca (in certi campi l’unico prodotto finale possibile) ma spesso da mezzi diventano fini e questo è un peccato oltre che a volte un vero ostacolo alla innovazione.

Non voglio proporre un integralismo dei professionisti ibridi, sono importanti i professionisti iperspecializzati, il punto è che sempre più spesso non basta più. Una volta era sufficiente una buona pianificazione, una struttura gerarchica, una serie di incentivi estrinseci, di vincoli e una catena di montaggio di tante specializzazioni. Oggi la società della conoscenza riattualizza la sfida della complessità e certe logiche a compartimenti stagni possono voler dire perdita di denaro e opportunità nel business, perdita di conoscenza e scoperte in certi settori della ricerca.

Per esempio, se pensiamo al nuovo settore consulenziale dell’enterprise 2.0, cambia il rapporto col cliente perché cambia quello che si sta offrendo. Non è “solo” tecnologia eo design ma è una lenta, progressiva, controllata sandbox per l’evoluzione della cultura organizzativa. Grande opportunità che però richiede che si sappia relazionarsi col cliente secondo alcune logiche del change management e della psicologia delle organizzazioni, non “solo” saper offrire software e design.

Capite che il salto di complessità che porta certa tecnologia nella cultura, nelle prassi, necessita di un salto di paradigma non di semplici aggiustamenti.

Chi mi segue da un po’ sa che questo creare ponti tra discipline e ambiti diversi, unito alla ricerca di equilibrio tra conoscere e fare le metto in pratica nella consulenza, nella modellizzazione con Davide e nella ricerca. Il senso di questo post è di apertura della questione, apertura al confronto in quanto il profondo cambiamento in atto tocca il modo di vivere e lavorare di tanti professionisti, team e contesti dove innovare è una necessità.

Sono benvenute riflessioni e segnalazioni di chi avverte (in azienda, consulenza, design, ricerca) la necessità di affrontare la sfida della società della conoscenza in equilibrio tra discipline diverse, tra il conoscere e il fare.

iPhone 4 e la pervasività degli artefatti cognitivi

Sin dalla prima versione, gli addetti ai lavori ed esperti parlavano della rivoluzione messa in atto dall’iPhone, ma credo che oggi con l’iPhone 4 ormai sia tangibile per chiunque. La maturazione dell’hardware (nel senso anche dell’oggetto) e del software rendono palese anche ai più critici come si possa parlare di una era del mobile pre iphone e post iphone.

Forse non è un caso che avvenga proprio alla quarta evoluzione del device, infatti, 4 è simbolicamente la chiusura del cerchio …. la transizione si è completata.

Sarà ora interessante seguire la co-evoluzione tra device e utenti (sia come utilizzatori che come sviluppatori di apps).

Le caratteristiche del iPhone hanno condizionato tutta la concorrenza e questo effetto domino sta naturalizzando nella massa il maggiore ruolo dello smartphone nelle abitudini, prassi, comportamenti di quotidiano personal knowledge management.

Il costante arricchimento, potenziamento e affinamento delle funzionalità abbinata la diffusione e naturalizzazione di device del genere concretizzano il tema della pervasività degli artefatti cognitivi che sempre più diventano non solo estensione-espressione della nostra mente ma anche della nostra psiche con il suo carico di emozioni, simboli, desideri, immagini e dinamiche relazionali ed inconsce. Un esempio?

Beh, pensate al ruolo che ebbe (o che ha) il vostro diario personale durante l’adolescenza: memorizzava, permetteva di avere feedback (magari rileggendo certe parti dopo un pò di tempo), di avere uno spazio in cui riflettere, esprimersi, tirare fuori emozioni, desideri, dare forma ad una identità, poi ogni tanto si facevano leggere alcune pagine a persone fidate, si incollavano foto e biglietti di concerti, viaggi, ecc, ecc, ecc? Quanto quei artefatti cognitivi con supporto cartaceo detti diari hanno avuto un ruolo nel vostro vissuto a tutto tondo?

Ok, spero sia ora più chiaro cosa intendo con pervasività degli artefatti cognitivi, e non possiamo negare che rispetto ai buoni vecchi diari un iPhone 4 è un pochino più ricco e potente come artefatto cognitivo, no? 😉

P.s. Mi faceva notare un amico che forse non sono stato chiaro. La rivoluzione e il cambiamento l’iPhone l’ha innescato sin dalla sua prima versione e quindi buona parte del mie attuali riflessioni erano valide anche nel 2007. Semplicemente la massa critica di aggiornamenti e ampliamenti, che ovviamente continuerà nel tempo (e chiassà quali imprevedibili fattori e attori entreranno in gioco), ha raggiunto con la versione 4 una completezza e ricchezza notevole. In questo senso la chiusura del cerchio voleva rappresentare la maturazione di un processo in divenire non una fine.

AVATAR experience

Ne parlai la prima volta qui nel 2007. Finalmente l’ho visto ed è stata una bellissima esperienza.

L’impressione è di aver “attraversato” quella foresta digitale su Pandora non solo di averla vista.

Vedremo come il cinema farà propria e sviluppera questa tecnologia 3D e capture. Come si fonderà con i video giochi e i televisori 3D che usciranno tra un pò? Ridarà slancio alla esperienza immersiva che era tornata in auge con Second Life? Non si può negare che l’aumento di qualità delle immagini, delle movenze ed espressività dei personaggi abbia un forte impatto emotivo sullo spettatore.

I temi che vengono toccati, anche indirettamente, nel film sono tanti. Quelli meno fantascientifici e più attuali sono il rapporto tra utente e avatar, le interfacce neurali, l’intelligenza collettiva a network, l’esperienza immersiva, l’ingegneria genetica.

La potenza della esperienza immersiva dipende non solo dalla fonte ma anche dalla abitudine e dalla predisposizione dell’utente, ma sicuramente ci saranno in futuro crescenti occasioni di coltivarla. 🙂

Di seguito un bel video che spiega le potenzialità che ha raggiunto il capture.

Etica e pragmatica dell’agire (Incentivi intrinseci e Design Thinking)

Forse parole come virtù e saggezza, per quanto importantissime, sono troppo vaghe e suscitano in qualcuno il pensiero di un fragile moralismo, in un contesto postmoderno come quello in cui ci troviamo ancora. Quello che mi ha colpito dello speech di Schwartz non è tanto il suo richiamo a “fare la cosa giusta” ma il suo tentativo di mostrare come l’etica possa essere la componente di un comunicare e agire pragmatico, in quanto espressione della specificità delle relazioni e gruppi umani. Che sia chiaro, lui non l’ha detto esplicitamente in questa maniera (come molte delle mie riflessioni che seguiranno) sono mie intepretazioni del suo discorso, d’altro canto a cosa serve commentare un video, no?

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Nella prima parte dell’intervento parlando appunto di virtù e saggezza (se guardate la data, erano in piena crisi finanziaria durante quel TED) Schwartz elenca le abilità principali che persone e professionisti dovrebbero avere per lavorare e relazionarsi con capacità. Mi sembra di aver intravisto dalle sue parole queste:

  • una autonomia di competenze e personalità sufficienti per assumersi delle responsabilità;
  • non aver paura di provare, esplorare e sbagliare;
  • tra le varie intelligenze, è auspicabile che ci sia sempre una buona intelligenza emotiva.

Chiude la prima parte parlando del ruolo di regole e modelli i quali, dinanzi a contesti e sistemi complessi (la quotidianità?), devono essere sufficientemente aperti ed elastici per adattarsi all’imprevisto. Sappiamo come viviamo in tempi ad alto tasso di imprevedibilità crescente.

Nella seconda parte parla di incentivi.

Dov’è il limite in cui buone regole, un buon modello e sistema di incentivi estrinseci non riesco a migliorare persone, comportamenti e gruppi?

A mio parere, non a caso, Schwartz parla infatti di incentivi intrinseci, la tipologia di incentivo preferibile per indurre scelte e comportamenti.
Ovviamente bisogna progettare gli incentivi giusti in base a tanti fattori come per esempio la scala valoriale o le abitudini di una certa comunità (sono fattori progettuali non generalizzabili).
Da tempo in Mo.De. trattiamo questa importante differenza tra intrinseco ed estrinseco …. quindi cosa aggiungere se non, come dice Schwartz, “get smarter incentives!”.

Lui propone due strategie per aiutare le persone a fare proprie certe prassi:

  1. dando visibilità ai comportamenti esemplari;
  2. dando visibilità ai più bravi ed esperti in questi comportamenti target.

Sono venute in mente solo a me alcune note strategie per incentivare alcuni comportamenti degli utenti in un social network?

Why? Because is the right thing to do” …. generalmente noi italiani chiamiamo queste frasi “americanate” o comunque slogan capaci di toccare il cuore solo in una cultura con radici puritane, ma riprendo a questo punto, in forma interrogativa, il concetto accennato ad inizio post: non è forse riduttivo pensare che l’etica sia solo moralismo? L’etica è solo un prodotto culturale? L’etica non è anche a suo modo prodotto di selezione naturale dei gruppi umani come animali sociali?

Ovviamente dire etica (e sto usando la “e” minuscola) è troppo vago …. vero. Quale etica? Ve ne sono diverse e con diverse interpretazioni. Ma principi e valori come il conoscere se stessi, la compassione sono opzioni di un supermarket  della morale con le sue mode?

Si, lo so, suonano come domande antiche, forse lontane ma le trovo oggi molto attuali.

Non ho le risposte ma mi sembrano domande da porsi perché forse può risultare inutile in tanti ambiti inseguire e proporrre la strategia, la metodologia, la tecnologia migliore quando a monte manca la “saggezza” e l’idea che migliorare umanamente e professionalmente non sia una opzione.

Molti ribattono che non sia interessante soffermarsi sull’etica, anche scevra da moralismi, in quanto non modifica la capacità di produrre per esempio denaro e lavoro. Oggi siamo nell’era della tecnica e la volontà di potenza è spesso reinterpretata nella pragmatica forma del “funzionare”, quindi che ce ne facciamo dell’etica? Ma vediamo in piccoli contesti relazionali, professionali, di consumo sino ai più ampi politici e climatici che quanto meno, se non si vuole definirsi etici, bisogna ogni tanto considerare la propria scala valoriale un fattore passibile di cambiamenti.

Credo sia facile condividere che il ruolo quotidiano dell’etica (gli inevitabili pre-giudizi, le scelte, le convinzioni, ecc.) è oggi riattualizzato dalla crisi economica, dalla crisi ecologica, dalla sovrapopolazione, dall’accelerazione tecno-scientifica, dalla globalizzazione, dalla sfida della complessità e della società della conoscenza. In questo mondo sempre più piccolo, veloce e a rete ogni scelta e comportamento che mettiamo in atto ha una conseguenza sempre più vasta e con amplificazione dei feedback, delle conseguenze (è più facile sentirsi “sulla stessa barca”). Per questo credo che l’etica non sia più avvertita da molti come un lontano e astratto insieme di regole e tabù ma un fattore immerso nella logica del “funzionare”.

Per fortuna non sono solo i problemi a far riscoprire l’anima pragmatica dell’etica ma anche le possibilità. Internet, il primo media che permette di avere una massa come somma di individui attivi, sta creando tante nuove opportunità in un movimento di piccoli gruppi di intellettuali, scienziati, ricercatori, designer come per esempio il design thinking o il TED stesso o in Italia l’evento Frontiers of Interaction, ecc., ecc..

“Why? Because is the right thing to do” …. e funziona!

Cos’è la Tecnologia per Kevin Kelly

Sintetica intervista in cui Kevin Kelly propone il suo punto di vista sulla Tecnologia (non a caso con la “T” vista la sua riflessione).

Propone di considerare, nel mondo più ampio possibile, la Tecnologia come parte di quel processo, quella forma d’ordine opposta all’entropia (che tende alla maggiore complessità) nell’universo, la quale crea i sistemi complessi, i sistemi dissipativi, la vita, l’uomo e in fine anche la tecnologia. Per Kelly non solo l’uomo è un essere tecnologico ma con la stessa biologia c’è un legame di co-evoluzione.

Suggerisce di essere proattivi con la tecnologia di provarla, di usarla non di subirla. La tecnologia non è una opzione, al massimo possiamo scegliere con quale tecnologia interagire non di farne a meno.

Edgar Morin su Internet

Pur essendo lui, come età, distante dalla rete (anche se molto più presente di tanti altri intellettuali), comunque la sua visione della complessità e del uomo si integra con la rivoluzione di internet e non stupisce. Quando si fanno propri certi punti di convergenza …

Non credo sia casuale in quanto, la sfida della complessità che dopo gli anni ’80 (ebbe per un breve periodo protagonista Milano) era tornata nei cassetti dei dipartimenti delle università (perché lo sviluppo tecnologico e globalizzazione non avevano ancora fatto sentire la loro pressione), sta tornando oggi con le nuove sfide che pone la società della conoscenza.

Trent’anni fa Morin, a suo modo, ci ha dato una indicazione di rotta per come affrontare il presente. Non si può dire che non sia un intuitivo.