Minsky

Non è stata una trasferta facile. Milano Bergamo in due ore! La radio parlava di A4 letteralmente chiusa in certi tratti a causa di più incidenti e di invasione del Veneto da parte di nostalgici Austroungarici!
Comunque siamo riusciti, a differenza di Leeander e Co. (di cui qui trovate lo spassoso post) a seguire tutto l’intervento dal vivo.
Marvin Minsky non ha fatto un discorso organico, ha dato più che altro delle suggestioni sparse e ha rinunciato ad utilizzare buona parte delle slide che aveva portato. Effettivamente una sola ora per un personaggio del genere e per l’argomento che doveva esporre era insufficiente. Comunque ha fatto di tutto per non farsi capire da chi non era già avvezzo al suo pensiero e più in generale ai recenti sviluppi della A.I.. Minsky ha suggerito di visitare il suo sito (lo trovate qui) dove è possibile approfondire le sue ricerche.
Insomma, non è stato (e/o non ha potuto) generoso ma gli spunti sono stati interessanti:

  • la ricerca in A.I. è rimasta troppo tempo legata ad una visione ingenua della mente come sistema solo logioco e razionale;
  • si può pensare in molti modi non solo con la logica“;
  • si possono fare ipotesi con le emozioni”;
  • perchè dopo 40 anni i computer non sanno ancora riconoscere un oggetto semplice come un bicchiere;
  • vi sono solo 30/40 ricercatori dell’A.I. che danno la giusta importanza a sistemi che imparano da se stessi;
  • propone un modello della mente con 6 livelli di pensiero di cui i primi sono simili agli oggetti di ricerca del comportamentismo e gli ultimi, i più elevati, sono da considerare “LIVELLI SATELLITE, a parte; ci sono gli istinti e poi l’etica (che sono molto forti), salendo sia arriva su (come diceva Freud!) fino alla coscienza, emersa [evolutivamnete] con il crescere di importanza delle relazioni sociali”;
  • la comprensione deve essere qualcosa di biologico, capire è avere molti punti di vista;
  • il mio modello dei 6 livelli a similitudini con quello di Freud” [!!!];

In fine le domande (che, come la pensano anche quelli di Edge, sono molto importanti) di uno dei padri dell’A.I.:

  • Cosa sono le emozioni?
  • Perchè i computer sono così poco intelligenti?
  • Non è strano che in 40 anni di ricerca nell’A.I. non si sono fatti grandi miglioramenti?
  • Qual’è il vantaggio di un programma Lisp?
  • Cosa vuol dire conscio?

Sono stato l’ultimo del pubblico a fargli una domanda ma da come “non” ha risposto, ai più, è venuto il sospetto che:

  1. era stata tradotta male la domanda;
  2. si era stufato e voleva solo uscire;

va bè …. sarà per la prossima volta.

Possibili scenari di sviluppo sulla rappresentazione della conoscenza tramite mappe

Vi propongo una riflessione sui possibili sviluppi di programmi per la rappresentazione, organizzazione e condivisione della conoscenza partendo dalle tradizionali e utili mappe mentali e concettuali.
Le mappe mentali e le mappe concettuali sono utili modi di rappresentare graficamente saperi e conoscenze per facilitarne la comprensione, l’analisi, la comunicazione e condivisione.
Le mappe mentali, ideate negli anni ’60 da T. Buzan, partono da un concetto, da una parola, da un insieme, da una idea base e si dipanano in modo radiale aggiungendo di volta in volta altri concetti, parole e idee legati tra loro secondo una logica associazionista.
Le mappe concettuali, anch’esse sviluppate negli anni ’60 ma da J.D. Novak, si differenziano dalle mappe mentali in quanto, la strutturazione delle informazioni è di tipo reticolare e non gerarchico, la logica organizzativa che la sottende è di tipo connessionista e non associazionista come nelle mappe mentali. Diciamo molto semplicemente che nelle M.C. si crea una rete di connessioni (specificate da etichette di spiegazione) tra concetti mentre nelle M.M. si parte da un concetto centrale e si allarga in modo gerarchico e radiale per associazioni. Le M.M. e le M.C. sono tradizionali strumenti di gestione della conoscenza, che possono risultare molto utili nelle organizzazioni e nel Personal KM.

Queste mappe sono nate per il supporto cartaceo ma naturalmente hanno avuto un notevole sviluppo mediante la diffusione dei computer, tecnologia che si presta allo all’esaltazione e potenziamento di questo strumento. Il computer rispetto al supporto cartaceo permette di sviluppare mappe molto più complesse, articolate, ordinate e modificabili ma fondamentalmente la logia di fondo è la stessa delle vecchie mappe.
Vi sono in commercio diversi e validi programmi per lo sviluppo di mappe mentali e concettuali più o meno complesse. Questi programmi rendono molto semplice e immediata la costruzione di mappe, incentivandone così la usabilità, integrando in pochi passaggi diversi formati di file e informazioni, accrescendone la facilità di condivisione. La diffusione e abitudine a questi strumenti risultano molto utili quando sono integrati in gruppo con una avanzata cultura interna di KM. Non dimentichiamo, infatti, che lo strumento in sé non basta se manca una cultura di interazione con esso che permetta di sfruttarlo al meglio. Il rischio infatti è quello di vedere il ripetersi di vecchi logiche organizzative su nuove tecnologie. Questo vuol dire perdere l’occasione di innescare un circolo virtuoso tra KMT (Knowledge Management Technology) e utente che oggi è più simile ad una reciproca influenza e co-evoluzione.

Questo processo risulta ancora più vero quando si parla di KMT e non di tecnologia in generale. Bisogna, infatti, chiedersi non solo cos’è materialmente e praticamente una mappa mentale/concettuale ma anche cos’è psicologicamente?
Se per un attimo ci spostiamo all’interno del sistema psiche e osserviamo le mappe da questo punto di vista, la prima cosa che notiamo è che si tratta di una forma di memoria ausiliaria. Un supporto alla nostra capacità di riconoscimento, rievocazione, ecc.. Questo supporto ai nostri limiti di memoria serve a compiere analisi, valutazioni, controlli, feedback, soluzioni, problem solving con più efficacia in senso sia verticale che orizzontale.
Dal punto di vista interno al sistema psichico, una mappa mentale è una forma di “mente diffusa”. Voglio dire che le mappe mentali o concettuali sono strumenti che ricalcano la nostra organizzazione dei pensieri, ampliando la nostra capacità di memoria fissando i concetti graficamente in un insieme visibile nella sua totalità con un colpo d’occhio e potenziando la nostra possibilità di sintesi mediante l’uso di un linguaggio visivo. Niente di nuovo sotto il cielo, già la scrittura è uno strumento che raccoglie, conserva e rende condivisibile gli “oggetti” della nostra mente; le mappe sfruttano la maggiore capacità di sintesi delle immagini e della grafica ricalcando l’economia organizzativa che la mente ha sviluppato nella sua evoluzione.

Un possibile scenario di sviluppo di questi supporti alla nostra conoscenza e comunicazione è dato dalla creazione di mappe sempre più autonome, dinamiche e capaci non solo di fissare e sintetizzare una complessa rete di pensieri, associazioni, fattori, cause, processi, ecc. ma anche di produrre feedback sempre più significativi, ricchi, autonomi e imprevisti.
A mio parere sono tre i principali i versanti su cui sviluppare le mappe del futuro:

  • snelli sistemi esperti e A.I. per produrre piccoli processi di auto-organizzazione;
  • la grafica per descrivere sistemi complessi dinamici e adattivi, attrattori, frattali (vedi interessanti esempi nel sito visualcomplexity);
  • il fattore emotivo.

L’ipotesi di scenario è quella di passare dalla fase in cui le mappe mentali e concettuali sono prolungamenti, supporti per la nostra mente ad una seconda fase in cui le mappe cominciano ad avere una maggiore autonomia e a comportarsi come piccole e semplici forme di cognizione, di auto-organizzaizone.
Quello che si può iniziare a chiedere alle mappe di nuova generazione, oltre alle loro tradizionali funzioni, è quello di accrescere la loro autonomia di elaborazione dei dati per produrre dei feedback che alimentino un circolo virtuoso di reciproca in-formazione e influenza tra software e utente. Le mappe del futuro devo crescere con l’utente aiutandolo e imparando insieme a lui. In particolare, per il Personal KM, può diventare utile un sistema di “mappatura” integrato al sistema operativo del PC che cerchi di utilizzare più informazioni possibili per produrre una rappresentazione del nostra quotidiana gestione delle informazioni e conoscenze (e-mail, contatti, progetti, argomenti, significati, links, ecc., ecc.).
Un altro versante su cui sviluppare le future mappe è quello di poter agire più approfonditamente sulle regole di organizzazione delle connessioni, delle variabili stesse che sottendono la rappresentazione di una sapere che sarà più dinamico, mutevole e multipolare.
Un’altra componente potrebbe essere un maggiore coinvolgimento e rappresentabilità del fattore emotivo che sottende la nostra organizzazione della conoscenza, delle scelte e dei comportamenti. Sottesa alla razionalità delle nostre strategie e analisi, c’è un campo di fattori emotivi che non sono sempre così espliciti e uno dei possibili obiettivi delle future mappe sarà proprio quello di fornirci una funzione di “specchio” del nostro modo di pensare e comportarci.

La psiche è un sistema ipercomplesso, emergente dal sistema nervoso e senso-motorio. I recenti sviluppi delle neuroscienze, delle scienze cognitive (integrate con le più valide intuizioni della psicologia dinamica) stanno dando vita ad un terreno fertile di aggiornate teorie della mente e nuovi modelli di organizzazione del sistema psichico da cui l’A.I. e robotica sta pescando a piene mani (vedi per esempio all’CSAIL ma non solo). Sono convinto che si possa iniziare seriamente ad investire sullo sviluppo di software con cui interfacciarsi i quali, senza particolari potenze di calcolo e A.I., possano mostrare una sufficiente autonomia nel produrre feedback significativi e che facilitino la nostra gestione e produzione di conoscenza.
Sappiamo che non ha senso commercialmente un programma di KM troppo complesso e pesante, come riuscire allora a creare un programma sufficientemente “intelligente” ma a costi e dimensioni accettabili per un PC?
Come sta avvenendo, per esempio, anche per lo sviluppo di Assistenti Virtuali sempre più smart dal punto di vista della comunicazione e della intelligenza emotiva, il punto di è partire da una profonda conoscenza della psicologia e della comunicazione reale. Le maggiori conoscenze scientifiche sul “sistema utente” permettono di ridurre il numero di informazioni necessarie al “sistema software” per interagire in modo coerente. La crescente conoscenza dei processi, dei vuoti, gli automatismi e degli schemi universali di organizzazione della comunicazione, o in questo caso, della organizzazione della conoscenza può compensare le ridotte possibilità di calcolo.

Dopo tutto, non c’è niente di più pratico che partire da una buona teoria.

Vedi www.visualcomplexity.com  e “Design dell’informazione” (di Massimo Botta) per la rappresentazione di sistemi complessi.

Questo articolo è pubblicato anche su Idearium

La macchina delle emozioni

I robot possono costruire automobili, ma nessun robot è in grado di fare un letto, pulire la casa o fare la baby-sitter”.

Così Marvin Minsky, uno dei padri dell’intelligenza artificiale, critica l’intelligenza artificiale classica che è in grado solo di programmare computer “stupidi” capaci di imitare l’intelligenza umana, senza capire ciò che fanno. Minsky sostituisce all’idea di una coscienza centrale una serie di fattori emotivi in grado di porre le varie funzioni della mente in relazione tra loro e propone una emotion machine da contrapporre ai computer dell’intelligenza artificiale classica.

Se ne parlerà a Bergamo Scienza, dove interverrà Marvin Minsky ven 29.09.2006 – ore 18:30 I Ex Chiesa S.Agostino via Fara – Città Alta.

Per saperne di più potete leggere qui una intervista a Minsky tratta da Tecnology Review. Qui la traduzione in italiano tratta da Boiler.

Etologia del Knowledge Management – Ethology of Knowledge Management

Uno dei diversi modi per valutare l’intelligenza di un primate è quello di analizzarne la capacità di manipolare oggetti e trasformarli in strumenti, utensili, in primitive tecnologie.
Da recenti studi in etologia, linguistica, paleontologia sta emergendo la “naturalità” della tecnica, qualità scarsamente considerata in passato.
Tradizionalmente infatti la capacità di concepire, costruire ed utilizzare tecnologie (per quanto semplici) è sempre stata considerata una peculiarità dell’intelligenza umana e della nostra struttura fisica come per esempio la forma del nostro pollice. Pur avendo da sempre davanti agli occhi diversi esempi di ingegno animale (le dighe dei castori, i nidi degli uccelli, ecc.) lo si è sempre considerato come qualcosa di non collocabile all’interno della medesima linea evolutiva da cui originano le umane capacità di produrre strumenti, artefatti, tecniche.
Questo pregiudizio, questo bisogno di distanza dal mondo animale, ha influenzato anche il modo di osservare il comportamento collettivo degli animali sociali negando l’evidente presenza di vere e proprie proto-culture di gruppo, per quanto diverse dalle nostre e primitive.
Chiaramente queste questioni sollevano problemi ancora più grandi come per esempio cos’è naturale e cos’è artificiale ma non voglio allargare troppo il post.

Nella etologia moderna questi pregiudizi sono venuti meno e oggi abbondano le ricerche, le ipotesi e le evidenze empiriche sul fatto che la tecnica si una componente intrinseca alla co-evoluzione delle capacità cognitive, sociali e culturali degli esseri viventi in generale.
Non esiste una gerarchia precisa o una determinata sequenza di eventi che facciano emergere, in diverse specie animali abilità tecniche e nuove conoscenze. Si tratta di una combinazione di numerosi fattori non del tutto ancora chiariti ma è certo che superato un determinato grado di complessità della organizzazione sociale cresce la probabilità che si inneschi un circolo virtuso tra conoscenza e gruppo. Si incrementa la possibilità che aumenti la conoscenza di una intera collettività, diventando un patrimonio comune tramandato culturalmente.
In altre parole la capacità di un gruppo di produrre e accrescere la propria conoscenza dipende in gran parte dalla sua organizzazione e comunicazione interna e non solo dalla intelligenza, dalle qualità cognitive, dal cervello di qualche singolo individuo.

E’ stato pubblicato questo mese su Le Scienze uno stupendo articolo di Carvel van Schaik che dimostra come la incredibile maestria nell’utilizzare strumenti, di una intera comunità (e quindi non solo di alcuni singoli e abili soggetti) di Orangutan di Sumatra dipenda fondamentalmente da due fattori:

– il tempo passando insieme che aumenta lo scambio di conoscenze;
– una cultura tollerante e di scambio dell’intero gruppo, che va oltre il rapporto madre-figli.

La insolita abitudine alla vicinanza, rispetto alle altre comunità di Orangutan conosciute, permette ai soggetti meno capaci di osservare da vicino le tecniche di quelli più abili facilitando la diffusione e la conservazione della conoscenza, la quale diventa un patrimonio della intera comunità. La stretta rete di reciproche osservazioni e scambi permette ai singoli Orangutan di non essere confusi e attratti dalla miriade di stimoli provenienti dalla giungla in cui vivono e quindi possono più facilmente accorgersi che hanno di fronte un problema e che qualcuno lo sta risolvendo.

Trovo interessante seguire come la ricerca etologica stia producendo queste piccole conferme a favore di una produzione e gestione della conoscenza intesa come processo evolutivo di natura anche sociale e culturale. Sappiamo che uno dei maggiori ostacoli nella diffusione del KM nel mondo aziendale sia la trasformazione di alcune componenti, spesso implicite, della cultura di gruppo. Infatti, se non si fanno proprie certe modalità comunicative e valori rispetto al ruolo e all’uso della conoscenza, rischia di rimanere parziale l’apporto che possono dare le più avanzate piattaforme di ICT. Detto in altre parole il rischio è quello di riprodurre vecchie logiche con nuove tecnologie.

Suggerisco a chi si interessa di KM di tenere un occhio sui futuri sviluppi di discipline come etologia, palentologia, archeologia e antropologia. Ritengo, infatti, che le recenti teorie sulle origini delle nostre capacità di produzione e gestione di conoscenza possano dare un interessante contributo alle riflessioni che la società della conoscenza solleva.

In questo video di Nova24 si possono vedere le abilità di un gruppetto di scimpanzè nell’utilizzo di un rametto come strumento per nutrirsi.

Dalla interazione alla “relazione” – Riflessioni su Frontiere dell’Interazione ’06

Le Frontiere dell’Interazione 2006 è stato un evento molto stimolante, dove si sono toccate importanti questioni di carattere tecnico, scientifico, culturale e business, riguardo al ruolo delle emozioni nell’interaction design. Come utilizzare le nostre attuali competenze sulle emozioni e sulle dinamiche relazionali per progettare siti, applicazioni, avatar, macchine, telefonini, ecc.? Come organizzare un team con questo obiettivo? Come e quando investire economicamente in ricerca, progetti e prodotti fondati sulla efficacia emotiva? In sintesi, questi sono stati i temi e le questioni sollevate dai relatori nel mentre che ci mostravano le loro ricerche aziendali, accademiche, i loro prodotti e progetti.In ordine alfabetico, gli interventi che ho trovato più interessanti sono stati quelli di:

Perché Frontiere dell’Interazione 2006 si è concentrata quest’anno sulle relazioni emotive?Come sta avvenendo da qualche anno internet (Web 2.0), ci si è resi conto che oltre a lavorare sulla intelligenza artificiale, il sistema di interazioni uomo-macchina, può progredire anche grazie al sapiente utilizzo delle capacità cognitive ed emotive dell’utente. In altre parole, mentre si continua a sviluppare macchine e software sempre più sofisticati, ci si è resi conto che ci sono interessanti margini di miglioramento della interazione sfruttando le spontanee capacità di auto-organizzazione, ricerca di coerenza e di rispecchiamento emotivo che istintivamente mettiamo in atto. Al crescere delle competenze nella psicologia e neurofisiologia crescono le possibilità di avere “ancoraggi” con il sistema uomo per interfacciarsi e progettare una interazione più efficace e funzionale, non delegando tutto solo alle capacità della macchina (il termine macchina in questo caso è riduttivo in quanto si parla di interazione in senso ampio). La ICT dilaga e invade la nostra quotidianità “entrando” in tutti gli oggetti di uso comune e collegandoli all’interno di una rete comune di comunicazione. Cresce l’esigenza di adoperare sempre di più competenze psicologiche per sviluppare prodotti emotivamente coerenti ed efficaci dal punto di vista “relazionale”. DALLA INTERAZIONE ALLA “RELAZIONE” con gli oggetti, le macchine e i programmi che sempre più saranno parte della nostra quotidianità materiale ma anche psichica. Forse comincia a diventare riduttivo anche il termine ICT e alcuni cominciano ad adottare concetti come KMT (knowledge Management Technology) in quanto stiamo passando dalla società della comunicazione e quella della conoscenza dove diventa sempre più evidente e palpabile la natura di certa tecnologia come estensione della mente. Un’ultima riflessione in quanto psicologo.Spero che si riconosca la necessità di integrare nei reparti di sviluppo e ricerca aziendale persone non solo con valide competenze specifiche in psicologia, ma anche con competenze scientifiche sufficientemente varie. Infatti, la psiche è l’oggetto complesso per eccellenza, ricco di livelli e processi emergenti, ed è facile, in questo campo (per la natura dell’oggetto di studio), ritrovarsi in un vicolo cieco facendo riferimento solo ad un certo filone teorico e/o ad un solo livello del sistema psiche (neurofisiologico, comportamentale, cognitivo, psicodinamico, sistemico, culturale, ecc.). Sono concreti problemi che possono condizionare lo sviluppo di molti prodotti. Può essere molto difficile per una azienda selezionare il consulente scientifico giusto e con le competenze giuste.In Italia ricerca pura e azienda sono troppo spesso ancora aliene e questo è un grande limite per una economia e una società come la nostra. In molti proponiamo che professionisti con competenze “ibride” possono aiutare ad affrontare questi gap che bloccano l’innovazione, ma mi fermo qui perché questo sarà l’argomento di un futuro post. Sia cliccando sulla immagina sopra che

Qui potete vedere le foto che ho scattato durante l’evento.

Le Frontiere dell’Interazione 2006 – The Interaction Frontiers 2006

Vi segnalo con piacere questo interessante seminario certo della validità dei temi proposti e della qualità degli speakers. Riprendo direttamente dal sito una breve intro:

“Interaction Frontiers is a free seminar that first took place in Milan, Italy, in the summer of 2005. Conceived by event organizers Matteo Penzo and Leandro Agrò, the seminar was sponsored by UXnet, Idearium, and Università Milano Bicocca.
Interaction Frontiers 2006 will take place at Università Milano Bicocca on June 16th and will focus on the following themes: multimodality, emotivity, and intelligent interfaces.
The adventure of Interaction Frontiers started by raising issues about user experience. This year it will take a step into the future of user experience, with presentations on avatars that enrich the windows of traditional GUIs, digital products with input devices and sensors that can collect information about users’ emotions, and user experiences that leave the screen and move around on wheels and robot legs.”

“Le Frontiere dell’Interazione e’ un seminario (completamente gratuito) nato nell’estate 2005 da un’idea di Matteo Penzo e Leandro Agrò (che tuttora rivestono il ruolo di producers della giornata) e organizzato da UXnet, Idearium e Università Milano-Bicocca.
L’edizione di quest’anno si terrà il 16 Giugno in Università Bicocca e il tema sarà sulle: Multimodalità , emotività e interfacce intelligenti.
L’avventura delle Frontiere dell’Interazione è cominciata con l’interrogarsi sulla User Experience, e quest’anno prova a fare un passo ulteriore. Le finestre delle GUI tradizionali si arricchiscono di rappresentazioni simboliche simul-umane (avatar), si dotano di input device e sensori capaci di collezionare informazioni emotivamente connotate, ed infine escono dagli schermi e camminano su ruote e gambe robot”

Il gioco è una cosa seria: oltre la tastiera e il mouse

Spesso si tende a prendere poco sul serio il mondo dei videogiochi, essendo un intrattenimento tradizionalmento dedicato ai bambini. Nel mentre però questa realtà progressivamente conquista sempre più fruitori adulti attraverso la costante evoluzione tecnica e contenutistica dei prodotti. Non è solo una questione di “Atari Generation” divenuta ormai adulta, ma obbiettivamente il videogioco sta diventando una delle più importanti forme di intrattenimento. Questo settore industriale guadagna enormi fette di mercato influenzando sempre più il mondo del cinema, in un primo tempo con il dilagare della computer graphic e recentemente come esplicito concorrente in quanto crescente alternativa di intrattenimento.
La ricerca tecnologica attorno al mondo dei videogiochi rappresenta una importante avanguardia per l’interazione uomo macchina e le interfacce. Questo è dovuto al fatto che chi progetta videogiochi persegue una sempre più completa, multisensoriale ed emotiva immersione nel gioco. La crescente qualità e realismo di immagini e dinamiche rende l’esperienza di gioco sempre più intensa e non ho dubbi che da questo mondo nasceranno le prossime ispirazioni che influenzeranno il modo di interagire con l’ICT in generale, anche nel mondo del lavoro e della vita quotidiana.In questi giorni si sta svolgendo a Los Angeles l’E3 2006 (Electronic Entertainment Expo), si tratta di una della più importanti fiere per l’interactive entertainment industry. La Nintendo ha proposto in questo evento la sua innovativa tecnologia di interazione, Wii. Ecco un video esplicativo:



Trovo molto valida questa revisione del tradizionale pad, ma vediamo altre forme di interfaccia che passano sempre attraverso l’uso della mani. Interessante è la tecnologia touch screen proposta da Jefferson J. Han:

Da osservare anche la Mixed Reality Interface presentata al CeBIT 2006 di Hanover:

Tornando nel mondo dell’intrattenimento, il noto film Minority Report di Spielberg è noto per aver coinvolto esperti, anche dell’MIT, per rappresentare il più realisticamente possibile la tecnologia di un futuro prossimo. Tra questi esperti John Underkoffler è quello che ha proposto la tecnologia più famosa del film che corrispondeva a dei guanti che manipolavano a distanza su uno schermo immagini e filmati. Vi suggerisco di vedere, nei filmati presenti sul sito G-SPEAK (Gestural Interface Technology), a che stadio è oggi quella stessa tecnologia.La tecnologia di interazione diventa anno per anno sempre più precisa nel interfacciarsi efficacemente con qualsiasi stimolo mandato dal nostro corpo, come per esempio il movimento oculare (di cui c’è grande esperienza anche in Italia alla SR LABS) o gli stimoli vocali.

In fine, forse per alcuni un po’ inquietante, cresce lo sviluppo di Brain Interface Technology come possiamo vedere da questo video anch’esso del CeBIT di Hanover:

 

Credo che tra non molto questa tecnologia uscirà dallo specifico mondo dell’intrattenimento e dei laboratori di ricerca per modellare il nostro modo di interagire con l’ICT in generale, per questo ho ritenuto utile raccogliere e proporre questi stimolanti video che potete trovare senza eccessive difficoltà nella rete.

P.s. L’immagine all’inizio del post è una virtual keyboard che proietta da un cellulare, tramite un raggio di luce, una testiera per scrivere su qualsiasi superficie piatta.

Mauro Ceruti e la nuova sfida della complessità

Mauro Ceruti è uno dei più importanti rappresentanti italiani della sfida della complessità. Ho trovato sul sito della Trento School of Management un interessante video dove introduce i più recenti intenti della sua ricerca. Attualmente Ceruti è Direttore di CE.R.CO – Centro ricerca antropologia ed epistemologia della complessità, dell’Università di Bergamo. La recente ricerca di Ceruti è un importante conferma della necessità di convergenze tra saperi tradizionalmente distanti. Vi suggerisco di seguire gli sviluppi del progetto CE.R.CO. il quale ha di recente una newsletter alla quale potete iscrivervi. Non ho difficoltà a definire “ibrida” la riflessione proposta nel video. Buona visione.

Ibride riflessioni sulla complessità

Nel 2005 è stato pubblicato dalla Codice Edizioni l’interessante libro di Mark C. Taylor : “Il momento della complessità”.

Non è il classico testo di introduzione alle teorie della complessità, “Il momento della complessità” è invece un buon esempio di riflessione ibrida, in quanto propone una analisi estremamente transdisciplinare del paradigma della complessità come momento storico, culturale e scientifico.
Non è un libro semplice e a volte troppo sbrigativo, ma bisogna dare merito all’autore di aver proposto una riflessione vasta e stimolante. Può essere una sfida, per il lettore non abituato a gestire tanti e diversi saperi, ma spero che molti apprezzino il costante oscillare tra l’umanistico e lo scientifico (saperi ancora troppo spesso distanti) che il libro propone.
Non meno importante, per chi vuole approfondire determinati argomenti, la presenza di una valida bibliografia.

Vi suggerisco questo libro che vi farà ragionare sull’importanza della sfida della complessità attraverso l’opera di architetti come Mies van der Rohe, Robert Venturi, Frank Gehry, di filosofi come Kant, Hegel, Michel Foucault, Jacques Derrida e Jean Baudrillard e degli artisti Renè Magritte e Chuck Close.
Tra gli autori della complessità che Taylor cita trovo interessante il lavoro di J.A.S. Kelso che non conoscevo.