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Ted Robinson – Do Schools Kill Creativity? from Andrea Benassi on Vimeo.
Ok, ok …. ultimamente ho pubblicato troppi video del TED, proprio per questo non volevo aggiungere anche questo ma continuo a guardarlo, ne parlo ad altri che poi lo pubblicano nei loro blog …. insomma, devo postarlo.
Andrea Benassi, sempre capace di essere stimolante, ha pubblicato questo video con sottotitoli in italiano sul buon vecchio Idearium.
Lo speaker è Sir Ken Robinson, ottima espressione di quella rara capacità di singoli o gruppi di “essere” ciò che propongono agli altri!
Prima di tutto è un intervento divertentissimo con ritmi di una comicità tutta inglese.
Il suo intervento è sulla importanza della creatività in una scuola globale, di stampo ottocentesco, che forse non è più in grado di preparare le nuove generazioni ad un futuro che cambia troppo velocemente per essere incasellato in stretti modelli da era industriale.
Sir Robinson, esperto di creatività e innovazione nell’educazione scolastica, parla di temi importanti per tutti noi in questi tempi:
- la difficoltà di fare previsioni
- la straordinaria importanza della creatività per affrontare il nuovo e l’imprevisto
- la capacità dei bambini di essere aperti all’innovazione
- l’importanza di tollerare un margine d’errore per innovare
- come, sempre più, la ricchezza e completezza della persona sia necessaria al suo essere professionista
- la scuola e la società hanno parametri e valori troppo angusti per far emergere talenti
- l’inflazione e svalorizzazione della laurea
- ripensare il concetto di intelligenza: variegata, transdisciplinare
- una ecologia delle capacità umane
Per concludere, anche in questo interessante intervento emerge l’importanza della transdisciplinarietà come la principale strategia per formarci, prepararci e interpretare la tipologia di cambiamenti in atto, così Robinson parla della creatività:
LA CREATIVITA’ E’ IL PROCESSO IN GRADO DI PRODURRE IDEE ORIGINALI CHE HANNO UN VALORE, IL QUALE, IL PIU’ DELLE VOLTE, PASSA ATTRAVERSO L’INTERAZIONE DI DIVERSI APPROCCI DISCIPLINARI.
Link: Sito e blog di Robinson sul suo libro The Element
che dire? come non essere d’accordo con il phD Ken. come sempre, per me, la domanda fondamentale da porre – qui e ora – è “Sì, ma come?” 😉
pg
PS.
va da sé che la mia posizione resta sempre che, con buona pace degli steineriani, prima di rompere le regole bisogna impararle (bene)…
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Come ho letto da qualche parte: e se provassimo a sostituire la parola “innovazione” con “trasformazione”? Visto l’epoca che stiamo vivendo mi pare più appropriata, più radicale la scelta di trasformare, piuttosto che di innovare l’esistente.
in|no|và|re
v.tr. (io innòvo)
1 CO trasformare introducendo sistemi o metodi nuovi
tra|sfor|mà|re
v.tr. (io trasfórmo)
FO
1a modificare radicalmente nell’aspetto, nella forma, ecc
Dal De Mauro online
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Mercoledì sarò con Andrea Benassi (che ha tradotto il video) e potrebbe essere l’occasione per fare due chiacchiere insieme e produrre un ulteriore approfondimento. Gian, se hai suggerimenti… 🙂
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Splendido il video, grazie Gian. E a differenza dei più razionali che mi precedono, seguo l’onda della tua riflessione (ed emozione).
Sono completamente d’accordo con la visione che propone Robinson. Tra qualche tempo terrò un intervento su biblioteche e 2.0 che si intitolerà “The Scripting Library”: prendendo in prestito un’idea di Bruce Sterling mostrerò con alcuni esempi come è possibile riprogrammare le biblioteche e le informazioni che esse custodiscono. Essere in grado di riprogrammare qualcosa implica una capacità intellettiva creativa, del tipo di quelle enunciate da Robinson. Avere la visione di ciò che potrebbe emergere da un processo di ri-combinazione. Guardare talmente dentro i dettagli da trarne una visione allo stesso tempo unitaria, sintetica e manipolatrice. E combinare le proprie informazioni con quelle che si trovano out there, là fuori nel mondo (della Rete e non), ovvero quelle che non avresti mai pensato potessero esserti utili. Uscire dalla logica abitudinaria: leggere le informazioni per metafore, similitudini, contrapposizioni dialettiche.
Ciò che constato nel lavoro è che spesso a (auto)limitarci è la logica particulare, ovvero specialistica: guardi a quelle che sono le *tue* esigenze, a come declineresti le soluzioni adatte a *te* etc. E magari stai progettando qualcosa per i (tuoi) utenti, cioè qualcosa che *tu* non userai mai ma probabilmente loro spessissimo. Così è, per chi lavora in strutture pubbliche o aziendali, anche per quanto riguarda le relazioni con altri uffici/settori/aree. Quando abbiamo implementato l’archivio aperto in Bicocca forse la sfida più grande è stata quella di relazionarci, comprenderci (quindi imparare a parlare gli uni la lingua degli altri, o almeno una lingua terza), mettere insieme modalità e ritmi di lavoro differenti – noi e colleghi con cui non eravamo mai entrati in contatto, che portavano (la ricchezza del)le loro esigenze completamente *altre* dalle nostre e perfino da quelle che *noi* percepivamo essere le esigenze metafisiche di un’università (sai, i bibliotecari hanno un’alta opinione di sé ;-).
Do you remember Matrix? Mentre guardi gli esseri umani, le cose, il mondo, in realtà vedi il codice (allenarsi a vederlo). Abituarsi a pensare per strutture – omogenee per somiglianza o per dissonanza. Abituarsi a calare altre architetture nella propria: mentale, lavorativa, sociale. A pensare introducendo nella propria disciplina dosi massicce di topoi di altre scienze. Le intuizioni migliori che ho avuto me le ha date l’interpretare il già noto con altre categorie scientifiche e quindi mentali: la biblioteconomia con le lenti della biologia? Anche. Imparare a leggere e a mettere a fattor comune il vero expertise: la mutevolezza del proprio sapere nel punto di tangenza con quello altrui.
E, certo, poter sbagliare, in questo approccio, è tutto.
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Eccezionale.
Anche se può sembrare poco umile (si chiama falsa modestia ;-), vorrei solo aggiungere una mia piccola nota biografica (i love you Storytelling).
Quando tre anni fa stavo pensando di creare una rivista che potesse parlare di creatività e di innovazione e che mi consentisse di incontrare gente interessante (visto che cominciavo ad annoiarmi un bel po’!) avevo in mente un unico nome:
MULTIDENTITY…
detto così sembra quasi un disturbo di personalità e in effetti forse è già rientrato nel DSMIV (vatti a vedere cos’è …è un privilegio di pochi essere stato con una neuropsichiatra infantile …e non avercela fatta!).
mi sembra che ci sia qualche attinenza con le cose che dice il nostro baronetto inglese no?
thx
andrew
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Paolo: Si ma come? Non credo che si possa renderlo un progetto generalizzato ma almeno renderlo un valore nell’eccellenza. Comunque il tuo giusto perché meriterebbe uno spazio maggiore di un commento …. da riprendere.
Federico: sicuramente la parola innovazione non basta più, è troppo inflazionata e non riesce a farsi carico di certe accelerazioni del cambiamento …. non male il tuo spunto.
Leeander: beh, prima di tutto salutamelo, spero di rivederlo presto. Non sarebbe male tirare fuori dei principi eo delle prassi generalizzabili per creare ambienti ad alto tasso di creatività.
Bonaria: grazie ad Andrea non a me, quello che fai e che dici è prezioso, c’è una grande necessità di “linguaggi e figure ponte” ma perché siamo in una fase ben precisa dell’evoluzione della conoscenza, non so quanto questo sia chiaro …. hai visto quante persone difendono la matrice? 😉
Andrea: non tiriamo in ballo il DSM che non centra in questo contesto, comunque credo che abbia più a che fare con le diverse intelligenze di cui parla Gardner e con l’individuazione.
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