Uno dei diversi modi per valutare l’intelligenza di un primate è quello di analizzarne la capacità di manipolare oggetti e trasformarli in strumenti, utensili, in primitive tecnologie.
Da recenti studi in etologia, linguistica, paleontologia sta emergendo la “naturalità” della tecnica, qualità scarsamente considerata in passato.
Tradizionalmente infatti la capacità di concepire, costruire ed utilizzare tecnologie (per quanto semplici) è sempre stata considerata una peculiarità dell’intelligenza umana e della nostra struttura fisica come per esempio la forma del nostro pollice. Pur avendo da sempre davanti agli occhi diversi esempi di ingegno animale (le dighe dei castori, i nidi degli uccelli, ecc.) lo si è sempre considerato come qualcosa di non collocabile all’interno della medesima linea evolutiva da cui originano le umane capacità di produrre strumenti, artefatti, tecniche.
Questo pregiudizio, questo bisogno di distanza dal mondo animale, ha influenzato anche il modo di osservare il comportamento collettivo degli animali sociali negando l’evidente presenza di vere e proprie proto-culture di gruppo, per quanto diverse dalle nostre e primitive.
Chiaramente queste questioni sollevano problemi ancora più grandi come per esempio cos’è naturale e cos’è artificiale ma non voglio allargare troppo il post.
Nella etologia moderna questi pregiudizi sono venuti meno e oggi abbondano le ricerche, le ipotesi e le evidenze empiriche sul fatto che la tecnica si una componente intrinseca alla co-evoluzione delle capacità cognitive, sociali e culturali degli esseri viventi in generale.
Non esiste una gerarchia precisa o una determinata sequenza di eventi che facciano emergere, in diverse specie animali abilità tecniche e nuove conoscenze. Si tratta di una combinazione di numerosi fattori non del tutto ancora chiariti ma è certo che superato un determinato grado di complessità della organizzazione sociale cresce la probabilità che si inneschi un circolo virtuso tra conoscenza e gruppo. Si incrementa la possibilità che aumenti la conoscenza di una intera collettività, diventando un patrimonio comune tramandato culturalmente.
In altre parole la capacità di un gruppo di produrre e accrescere la propria conoscenza dipende in gran parte dalla sua organizzazione e comunicazione interna e non solo dalla intelligenza, dalle qualità cognitive, dal cervello di qualche singolo individuo.
E’ stato pubblicato questo mese su Le Scienze uno stupendo articolo di Carvel van Schaik che dimostra come la incredibile maestria nell’utilizzare strumenti, di una intera comunità (e quindi non solo di alcuni singoli e abili soggetti) di Orangutan di Sumatra dipenda fondamentalmente da due fattori:
– il tempo passando insieme che aumenta lo scambio di conoscenze;
– una cultura tollerante e di scambio dell’intero gruppo, che va oltre il rapporto madre-figli.
La insolita abitudine alla vicinanza, rispetto alle altre comunità di Orangutan conosciute, permette ai soggetti meno capaci di osservare da vicino le tecniche di quelli più abili facilitando la diffusione e la conservazione della conoscenza, la quale diventa un patrimonio della intera comunità. La stretta rete di reciproche osservazioni e scambi permette ai singoli Orangutan di non essere confusi e attratti dalla miriade di stimoli provenienti dalla giungla in cui vivono e quindi possono più facilmente accorgersi che hanno di fronte un problema e che qualcuno lo sta risolvendo.
Trovo interessante seguire come la ricerca etologica stia producendo queste piccole conferme a favore di una produzione e gestione della conoscenza intesa come processo evolutivo di natura anche sociale e culturale. Sappiamo che uno dei maggiori ostacoli nella diffusione del KM nel mondo aziendale sia la trasformazione di alcune componenti, spesso implicite, della cultura di gruppo. Infatti, se non si fanno proprie certe modalità comunicative e valori rispetto al ruolo e all’uso della conoscenza, rischia di rimanere parziale l’apporto che possono dare le più avanzate piattaforme di ICT. Detto in altre parole il rischio è quello di riprodurre vecchie logiche con nuove tecnologie.
Suggerisco a chi si interessa di KM di tenere un occhio sui futuri sviluppi di discipline come etologia, palentologia, archeologia e antropologia. Ritengo, infatti, che le recenti teorie sulle origini delle nostre capacità di produzione e gestione di conoscenza possano dare un interessante contributo alle riflessioni che la società della conoscenza solleva.
In questo video di Nova24 si possono vedere le abilità di un gruppetto di scimpanzè nell’utilizzo di un rametto come strumento per nutrirsi.