Conferme sullo sviluppo transdisciplinare della ricerca all’MIT


“Mention “vector” to a molecular biologist and a plasmid (a circular piece of bacterial DNA used in gene cloning) comes to mind. Say “vector” to an engineer, and she thinks of a mathematical concept.”

“This communications divide is becoming more of a problem now that research so often requires collaboration across disciplines. One-third of the engineers at MIT now work on biological problems, according to Graham C. Walker, MIT biology professor. Yet it can be challenging for biology and engineering students to understand each other.”

di Jennifer Donovan e Kathleen Cushman (del Howard Hughes Medical Institute Bulletin)

Queste frasi sono tratte da un articolo che titola “Wanted: Biologists who can speak ‘math’, engineers fluent in genetics”, apparso sull’ultimo numero del 22 Novembre di MIT Tech Talk. Come potete leggere nelle frasi che ho riportato, un terzo degli ingegneri che lavorano all’MIT lavorano a problemi biologici! Cresce il problema di far dialogare esperti con competenze così diverse.
L’MIT non ha bisogno di introduzioni, è una straordinaria università, spesso in grado di anticipare e condizionare i progetti di ricerca tecnologica e scientifica di tutto il mondo. In questo tempio dell’innovazione molti esperti hanno capito da tempo che la ricerca sta tendendo verso problemi e nuove sfide di natura transdisciplinare. E’ una constatazione tutt’altro che banale. Non si tratta, infatti, di una generica presa d’atto che modelli e metafore appartenenti a determinate discipline scientifiche possono a volte ispirare positivamente anche diversi ambiti di ricerca. Quello che sta emergendo è che oggi ci troviamo in un particolare momento dello sviluppo della conoscenza scientifica.
La quantità e qualità di conoscenze raggiunte in molti campi della sapere scientifico hanno raggiunto una massa critica tale che la tipologia dell’oggetto di studio tende a diventare sempre più di natura transdisciplinare. In altre parole, i tradizionali confini di competenza, interesse, applicazione delle discipline non reggono più alla pressione di conoscenze e domande sempre più complesse. Dopo trent’anni di sfida della complessità ci stiamo avvicinando a capire cosa sia la vita, quale sia il rapporto tra mente e cervello per fare qualche esempio. In particolare, sono le scienze del vivente quelle che stanno imponendo un salto di paradigma alla ricerca. La biologia prima di tutte, ma anche le scienze cognitive, la genetica, le neuroscienze, l’etologia, la psicologia, ecc..

Di fronte alla complessità e alla inevitabilità di questo fenomeno di “ibridazione” dei saperi, all’MIT non si pongono soltanto il problema di come far dialogare ingegneri e biologi ma i Professori si interrogano anche su come formare i giovani studenti, futuri biologi e futuri ingegneri.
Mi capita spesso di confrontarmi su progetti di ricerca fermi non perché gli scienziati o ingegneri che vi lavorano manchino di competenza ma perché il pezzo mancante appartiene ad un altro ambito di ricerca, ad un’altra disciplina. Questo salto molte volte è un ostacolo difficile da superare perché in ambiti ristretti, dove le persone hanno tutti competenze simili, è difficile che emerga un punto di vista diverso. Perché, anche se si prende atto della necessità di esperti di altre discipline, è molto difficile trovare quelle giuste e, come dice l’articolo dell’MIT, con le quali ci si capisca.
Ovviamente, ogni volta che si scopre che le proprie competenze non bastano è una ferita al proprio narcisismo o, da un altro punto di vista, al proprio “potere” ma se si riesce a tollerare questa fase di “lutto” è molto probabile che ci si metta in condizione di portare avanti un interessante e innovativo progetto di ricerca.
Gli ostacoli sono tanti ma la sfida è entusiasmante.
Chi mi conosce sa che da tempo insisto sulla transdisciplinarietà dei progetti di ricerca e vi sono continue conferme che i risultati più interessanti, negli ultimi anni, sono nati proprio da gruppi di esperti eterogenei nelle competenze. Pensiamo per esempio alla genetica combinata all’informatica, alla uso di modelli e strategie della biologia nello sviluppo di nanotecnologie, alla influenza delle neuroscienze nello sviluppo dei processori. Ovviamente lo sviluppo della tecnologia a sua volta alimenta un “circolo virtuoso” aiutando le scienze del vivente come la biologia, la genetica, le neuroscienze stesse con nuovi strumenti di indagine, analisi e simulazione. Un esempio interessante di questo circolo virtuoso, sempre all’MIT, è la ricerca portata avanti da Rodney Brooks sulla A.I..

Ovviamente, la ricerca verticale all’interno di un’unica disciplina rimane molto importante ma la transdisciplinarietà sarà sempre più frequente, che ci piaccia o meno. Ci sono molti strumenti (per esempio, un certo uso dei network in internet) per aiutare la ricerca ad affrontare “il rischio babele”, ma allo stesso tempo è necessario lavorare sulla mentalità di chi fa ricerca, di chi forma gli studenti universitari e sulle istituzioni che scelgono e finanziano i progetti di ricerca.Questa sfida ha ripercussioni ampie, non a caso, riuscire a gestire una massa crescente di informazioni e far dialogare saperi diversi è un problema che ci interessa tutti come abitanti della “società della conoscenza”.“The world of science keeps expanding […] For a synthesis to be effective, we have to educate a third kind of person–a ‘bilingual’ one”.

Questo mio post è pubblicato anche su Idearium.

3 pensieri su “Conferme sullo sviluppo transdisciplinare della ricerca all’MIT”

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