Etica e pragmatica dell’agire (Incentivi intrinseci e Design Thinking)

Forse parole come virtù e saggezza, per quanto importantissime, sono troppo vaghe e suscitano in qualcuno il pensiero di un fragile moralismo, in un contesto postmoderno come quello in cui ci troviamo ancora. Quello che mi ha colpito dello speech di Schwartz non è tanto il suo richiamo a “fare la cosa giusta” ma il suo tentativo di mostrare come l’etica possa essere la componente di un comunicare e agire pragmatico, in quanto espressione della specificità delle relazioni e gruppi umani. Che sia chiaro, lui non l’ha detto esplicitamente in questa maniera (come molte delle mie riflessioni che seguiranno) sono mie intepretazioni del suo discorso, d’altro canto a cosa serve commentare un video, no?

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Nella prima parte dell’intervento parlando appunto di virtù e saggezza (se guardate la data, erano in piena crisi finanziaria durante quel TED) Schwartz elenca le abilità principali che persone e professionisti dovrebbero avere per lavorare e relazionarsi con capacità. Mi sembra di aver intravisto dalle sue parole queste:

  • una autonomia di competenze e personalità sufficienti per assumersi delle responsabilità;
  • non aver paura di provare, esplorare e sbagliare;
  • tra le varie intelligenze, è auspicabile che ci sia sempre una buona intelligenza emotiva.

Chiude la prima parte parlando del ruolo di regole e modelli i quali, dinanzi a contesti e sistemi complessi (la quotidianità?), devono essere sufficientemente aperti ed elastici per adattarsi all’imprevisto. Sappiamo come viviamo in tempi ad alto tasso di imprevedibilità crescente.

Nella seconda parte parla di incentivi.

Dov’è il limite in cui buone regole, un buon modello e sistema di incentivi estrinseci non riesco a migliorare persone, comportamenti e gruppi?

A mio parere, non a caso, Schwartz parla infatti di incentivi intrinseci, la tipologia di incentivo preferibile per indurre scelte e comportamenti.
Ovviamente bisogna progettare gli incentivi giusti in base a tanti fattori come per esempio la scala valoriale o le abitudini di una certa comunità (sono fattori progettuali non generalizzabili).
Da tempo in Mo.De. trattiamo questa importante differenza tra intrinseco ed estrinseco …. quindi cosa aggiungere se non, come dice Schwartz, “get smarter incentives!”.

Lui propone due strategie per aiutare le persone a fare proprie certe prassi:

  1. dando visibilità ai comportamenti esemplari;
  2. dando visibilità ai più bravi ed esperti in questi comportamenti target.

Sono venute in mente solo a me alcune note strategie per incentivare alcuni comportamenti degli utenti in un social network?

Why? Because is the right thing to do” …. generalmente noi italiani chiamiamo queste frasi “americanate” o comunque slogan capaci di toccare il cuore solo in una cultura con radici puritane, ma riprendo a questo punto, in forma interrogativa, il concetto accennato ad inizio post: non è forse riduttivo pensare che l’etica sia solo moralismo? L’etica è solo un prodotto culturale? L’etica non è anche a suo modo prodotto di selezione naturale dei gruppi umani come animali sociali?

Ovviamente dire etica (e sto usando la “e” minuscola) è troppo vago …. vero. Quale etica? Ve ne sono diverse e con diverse interpretazioni. Ma principi e valori come il conoscere se stessi, la compassione sono opzioni di un supermarket  della morale con le sue mode?

Si, lo so, suonano come domande antiche, forse lontane ma le trovo oggi molto attuali.

Non ho le risposte ma mi sembrano domande da porsi perché forse può risultare inutile in tanti ambiti inseguire e proporrre la strategia, la metodologia, la tecnologia migliore quando a monte manca la “saggezza” e l’idea che migliorare umanamente e professionalmente non sia una opzione.

Molti ribattono che non sia interessante soffermarsi sull’etica, anche scevra da moralismi, in quanto non modifica la capacità di produrre per esempio denaro e lavoro. Oggi siamo nell’era della tecnica e la volontà di potenza è spesso reinterpretata nella pragmatica forma del “funzionare”, quindi che ce ne facciamo dell’etica? Ma vediamo in piccoli contesti relazionali, professionali, di consumo sino ai più ampi politici e climatici che quanto meno, se non si vuole definirsi etici, bisogna ogni tanto considerare la propria scala valoriale un fattore passibile di cambiamenti.

Credo sia facile condividere che il ruolo quotidiano dell’etica (gli inevitabili pre-giudizi, le scelte, le convinzioni, ecc.) è oggi riattualizzato dalla crisi economica, dalla crisi ecologica, dalla sovrapopolazione, dall’accelerazione tecno-scientifica, dalla globalizzazione, dalla sfida della complessità e della società della conoscenza. In questo mondo sempre più piccolo, veloce e a rete ogni scelta e comportamento che mettiamo in atto ha una conseguenza sempre più vasta e con amplificazione dei feedback, delle conseguenze (è più facile sentirsi “sulla stessa barca”). Per questo credo che l’etica non sia più avvertita da molti come un lontano e astratto insieme di regole e tabù ma un fattore immerso nella logica del “funzionare”.

Per fortuna non sono solo i problemi a far riscoprire l’anima pragmatica dell’etica ma anche le possibilità. Internet, il primo media che permette di avere una massa come somma di individui attivi, sta creando tante nuove opportunità in un movimento di piccoli gruppi di intellettuali, scienziati, ricercatori, designer come per esempio il design thinking o il TED stesso o in Italia l’evento Frontiers of Interaction, ecc., ecc..

“Why? Because is the right thing to do” …. e funziona!

11 pensieri su “Etica e pragmatica dell’agire (Incentivi intrinseci e Design Thinking)”

  1. Il mio essere pragmatico mi ha fatto notare anche una cosa che trovo particolarmente degna di nota: lui parla in modo molto concreto di temi sensibili e sui quali dovremmo riflettere più spesso, ma è riuscito anche a dare un modo per realizzare queste cose.

    E passa attraverso gli esempi, gli eroi: eroi nella vita di tutti i giorni, quelli che per caso ti donano un gesto gentile quando ne hai più bisogno.

    Perché come dice ad un certo punto: mettiamo regole perché ad un certo punto qualcuno ha sbagliato. Ma se queste persone sbagliano (e, diamine, dovrebbero imparare dagli errori), come è possibile insegnarlo, senza creare regole (a parte il buon senso che l’eccezione al caso non dovrebbe generare leggi)? Il passaggio sugli esempi risponde proprio a questo.

    Le persone imparano dagli esempi, dalle persone che hanno intorno. Esempi tanti più validi quanto sono concreti, umani, vicini a noi.

    Per essere Esempi, e tanto più eroi, servono però sogni e ideali da inseguire. Giusto ieri sera riguardavo la drammatizzazione di Jobs fatta ne I Pirati della Silicon Valley: “Siamo qui per cambiare l’universo. Altrimenti perché saremmo qui? Stiamo creando una coscienza completamente nuova.”.
    Jobs ha una immensità di difetti a quanto pare, però è un Esempio.

    Quindi, quando sento al TED India che il ragazzo di Sixth Sense (MIT), Pranav Mistry, dice che non vuole vendere l’idea a qualche grossa corporazione ma vuole mantenerlo libero, diffonderlo, distribuirlo opensource… e farlo dall’India… beh, per me quel ragazzo è un Esempio. E ha un sogno.

    Come sono Esempi anche tutte le persone delle varie community opensource, quelel che mostrano rispetto e collaborazione, insegnandolo implicitamente a chiunque li guardi.

    La cosa fantastica comunque rimane l’abilità di Schwartz nel dire queste cose, che sembrano così “distanti”, in un modo concreto, pragmatico, vicino alle persone e alle cose di tutti i giorni.

    Così vicino che potremmo riuscire a farlo tutti…

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  2. Credo che il tema delle relazioni tra sapere/fare etico e pragmatico sia molto importante e che molto spesso venga tralasciato o affrontato con eccessivi sbilanciamenti, e quindi questo post è molto interessante.
    Ad esempio, in diversi contesti progettuali sono stato definito tal volta il teorico o il pragmatico del gruppo… mai contemporaneamente entrambi.
    Esiste infatti la tendenza a dividere il sapere e/o il fare etico da quello pragmatico, ma sono due aspetti che non dovremmo mai separare e tralasciare.

    Ogni volta che si inizia un progetto, il campo delle possibilità è talmente vasto che si rischia di perdere tempo nell’orientarsi durante le prime fasi. Quindi la prima azione da fare è restringere il campo delle possibilità ponendo dei limiti, dei confini, in modo da disegnare una mappa del territorio in cui ci muoveremo. E questo è il lavoro che un buon professore dovrebbe fare quando vuole insegnare ai suoi studenti come sviluppare un progetto (non quello quindi che fa Philippe Starck, – episodio 01, episodio 02, episodio 03, , episodio 05, episodio 06 – ).

    Il mio processo progettuale parte quindi con due domande: Dove vogliamo arrivare? Come ci vogliamo arrivare?
    Ne consegue che sia aspetti etici che pragmatici delimitano il numero infinito delle possibilità e mi sono utili per procedere con il progetto (sia nel dove che nel come). Ogni mia scelta progettuale deriva infatti dalle mie considerazioni sia etiche che pragmatiche (ed ovviamente anche da quelle degli altri attori del sistema progettuale/produttivo).

    D’altronde, l’approccio open source è allo stesso tempo più etico e più pragmatico, o almeno ha avuto successo e viene adottato per queste due ragioni. Etico perché dà voce e autonomia ad un maggior numero di autori, pragmatico perché facendo ciò abbiamo maggiori probabilità di correttezza e successo del progetto.

    Non spendo mai molto tempo a cercare di definire cosa sia la creatività, ma penso che una definizione rapida possa essere “la capacità di mettere in relazione gli elementi esistenti”; quindi il paragone con il musicista jazz “inventing combinations that are appropriate for the situation and the people at hand” mi trova d’accordo. E questo è il motivo per cui penso che gli strumenti dovrebbero essere sempre open (per poterli modificare a seconda del contesto), e ogni professionista dovrebbe essere educato a modificarli.

    E se ci fosse bisogno di una ulteriore motivazione a legare etica e pragmatica, consiglio di leggere il risultato di questa ricerca: il comportamento altruistico ha un effetto a cascata nelle reti sociali, garantendo un ritorno indiretto a chi lo effettua (e guarda caso sono gli hub ad approffitarne di più).

    E a proposito dell’idea che l’etica sia un prodotto dell’evoluzione (e che porti un vantaggio competitivo) c’è anche questa ricerca.

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  3. Etica funzionale o funzionalità dell’etica?

    Il mio pensiero è che con l’aumentare del flusso informativo aumenti anche la possibilità di veicolare, pubblicizzare, valorizzare i comportamenti etici (e contemporaneamente disincentivare quelli non etici).

    L’opacità facilità l’esercizio dei comportamenti anti e a-etici, la trasparenza crea un ambiente ostile alla sopravvivenza e alla riproduzione degli stessi (la cupola del nuovo parlamento tedesco, il Reichstag ridisegnato da Foster).

    Ancora, oggi è possibile calcolare in maniera più efficace il ROI etico, il vantaggio competitivo che si acquisisce con un “fare”, un “progettare”, un “amministrare” etico.

    L’etica è un paradigma emergente, almeno fuori dai confini nazionali…

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  4. Ciao!

    Proprio recentemente ho pubblicato un post sul mio blog al termine della lettura de ‘Il gene egoista’ di Dawkins – citato peraltro in uno dei link di Massimo Menichinelli – e trovo tutto molto pertinente.

    La teoria dei giochi iterati offre un sacco di spunti formali a supporto di ciò che intuiamo: solo la produttività etica è massimizzabile in maniera sostenibile a lungo termine.

    Consiglio anche la lettura di ‘Calcoli morali’ di László Mérő, matematico ungherese. La cosa bella è che a questa lettura possiamo poi attaccare ‘Il Tao della fisica’ di F. Capra ed ecco che molto cerchi cominciano a chiudersi… 😉

    Ciao!

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  5. Caro Jacopo mi piace e condivido questo tuo modo di pensare che “unisce” 🙂
    Se si continua con questi commenti di qualità manca poco per mettere su un mini barcamp su questo tema! 😉

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  6. Ho riletto con interesse il post e la discussione proprio ora che ho tra le mani l’ultimo libro di Dan Pink: DRIVE… che esplora questi temi in particolare gli incentivi intrinseci e come la motivazione sia legata a: Autonomy, Mastert, Purpose….

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  7. Ciao Gian,
    io credo che ancora più dell’etica, ciò che dovrebbe smuovere le aziende a cambiare mentalità ed approccio specialmente verso i propri dipendenti sia un mero fine di business.

    Come ho scritto nell’ultimo post sull’engagement delle persone (http://www.socialenterprise.it/index.php/2010/01/15/lenterprise-2-0-parte-dallengagement/), non si tratta di essere buoni o essere corretti, si tratta di capitalizzare l’asset più sottoutilizzato nell’economia della conoscenza e della creatività: la voglia delle persone di contribuire e fare la differenza.

    Ciò non dipende essere fatto dipendere dal caso o dalla spinta volontaristica del singolo, quanto dall’iniziare a pensare ad un disegno sistemico sociale dell’impresa come ambiente di abilitazione di comportamenti virtuosi ed allineati agli obiettivi strategici.

    Motivare, ingaggiare, coinvolgere, far sentire appagato chi lavora con noi è l’investimento migliore che si possa scegliere oggi per costruirsi un vantaggio competitivo.

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