Dalla Società della Conoscenza alla Economia della Conoscenza

Da anni parliamo di Società della Conoscenza e in questo video, tratto dall’evento Nati Digitali di Nova Multimedia, David (il nostro “Piero Angela futurologo”) lancia alcuni spunti noti agli addetti ai lavori ma ancora troppo poco ai più.

Ormai il punto cruciale non è prendere atto della crescita della Società della Conoscenza, processo inarrestabile, ma identificare il prima possibile in che termini, tempistiche, modalità potremo sempre più massicciamente parlare anche di una Economia della Conoscenza.

La mutazione tecnologica iniziata negli anni ’90, diventa culturale nella prima decade del 2000 e probabilmene tra il 2010 e il 2020 maturerà anche l’Economia della Conoscenza. Ma che sia chiaro stiamo parlando di una mutazione, di un cambiamento profondo delle persone, del loro modo di gestire quotidianamente informazioni. Una mautazione cognitiva, sociale, valoriale, culturale. Trovo molto interessante a proposito l’intervento di Baricco a Venice Sessions.

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La Economia della Conoscenza non emerge solo dalla innovazione tecnologica. La tecnologia è l’innesco di un sistema complesso, è necessaria ma non sufficiente e dopo anni di 2.0 dovrebbe essere chiaro. Finchè il modello di business è sviluppare una startup per farsi poi comprare da google o altri non possiamo parlare di una Economia della Conoscenza.

Prima deve maturare la Società della Conoscenza e poi progressivamente anche l’Economia della Conoscenza in quanto concatenazione di cambiamenti profondi e sociali, sarà come avere tanti piccoli Gutenberg non a distanza di secoli ma di anni! Questo vale tanto per gli imprenditori che per i ricercatori.

L’Economia della Conoscenza si basa su una mutazione profonda della società innescata principalmente da internet che cambia i singoli nella loro routine di personal knowledge management, nel loro modo di costruire una identità, nel loro modo di socializzare, di percepire spazio e tempo, reale e virtuale, naturale e artificiale, mentale e digitale. Come muta lo scambio in tutto ciò? Si è spesso parlato di economia del dono, basta? Non credo.

Mutano i rapporti di potere intorno alla conoscenza, cambiano le abitudini, i desideri, i bisogni, i comportamenti su cui costruire nuove forme di business e comunicazione.  Ne parlavo proprio di recente allo IULM in una serie di conferenze organizzate da Maurizio.

Anche David non può non citare il MIT che è sempre 10-15 anni avanti al resto delle università mondiali sulla transdisciplinarietà della ricerca e le logiche open, base della mutazione del valore della conoscenza come bene diffuso.

Come e quando cambieranno le università e la ricerca sotto l’impatto di internet? Qui a Sci.bzaar.net avevamo cercato di individuare alcuni scenari possibili in modo propositivo. Essendo le università le istituzioni più importanti di gestione, produzione, valorizzazione della conoscenza il loro cambiamento interno, nella comunicazione esterna, nelle HR, nella forme di business della formazione e ricerca sono un passaggio fondamentale anche per la società e l’economia.

E’ ora di fare una mappa delle mutazioni importanti per orientarsi ed intercettare il cambiamento in tempo.

In fine, che ruolo avrà la crisi economica su questi scenari? Ostacolo o opportunità?

9 pensieri su “Dalla Società della Conoscenza alla Economia della Conoscenza”

  1. L’economia della conoscenza potrebbe doversi basare su un denominatore, un mediatore del valore, diverso da quello tradizionale monetario. Una indicazione di questa necessità penso che la possiamo vedere proprio nella profondità e ampiezza della crisi finanziaria attuale.

    Questa crisi è spaventosa perché a nessuno è chiaro come potranno realizzare i propri sogni nel quadro di un sistema di cui contorni non sono ancora affatto chiari. I sogni possono essere pragmatici, o addirittura modesti. Possono essere ambiziosi, o pazzi. Indifferentemente, devono essere in grado di valutare il rischio che vi è legato e di raccogliere e gestire le risorse necessarie per la loro realizzazione.

    Ma nel quadro di oggi questo non sembra essere possibile. Soprattutto, l’universale accesso alla conoscenza non ha ancora portato un’universale intraprendenza, che può trasformare la conoscenza in mille rivoli di interesse e di valore che l’individuo dà al gruppo, alle relazioni. Relazioni che possono essere locali, globali, di famiglia, di vicinato, professionali.

    Domani provo andare e comprare un chilo di pane con un po’ di whuffie.

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  2. Utopie a parte occorre un dibattito ampio e articolato sul concetto di valore reale per le persone, per le organizzazioni, per le comunità considerando che le risorse materiali non sono infinite e che la crescità deve poter essere sostenibile nel lungo periodo.

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  3. É la condivisione che ha trasformato l’economia, rendendo evanescente qualsiasi discriminazione basata sulla sola intensità della conoscenza.
    Piú che un’economia della conoscenza, é – ora e sempre piú – un’economia della conoscenza condivisa.

    Il lavoro è sempre più raramente lavoro materiale, uso della forza muscolare per trasformare fisicamente la materia prima in prodotto finito. È principalmente lavoro mentale (cognitivo), che usa le conoscenze per produrre altre conoscenze, portatrici di utilità. E questo non riguarda pochi ruoli “intellettuali” (professori, artisti, scienziati, ecc.), ma tutti: anche il lavoro operaio si sviluppa guidando macchine (con la conoscenza) e usando il cervello prima dei muscoli.

    Calcolando correttamente l’intensità cognitiva nelle sue componenti diretta (lavoro cognitivo erogato direttamente) e indiretta (lavoro cognitivo contenuto nelle macchine, nei componenti, nell’energia, nei materiali acquistati dall’esterno), questo vale per quasi tutti i settori, anche quelli a prima vista più “pesanti”.

    Il “sapere” non è più riservato a quelli che un tempo venivano chiamati i “colletti bianchi”, ma diventa sempre più fattore produttivo trasversale. L’aumento di complessità della società, i mutamenti organizzativi e la crescita di valore dei fattori immateriali (relazioni, significati, forme estetiche) hanno dato vita ad un’economia della conoscenza che per essere vissuta richiede ad ogni donna ed ogni uomo requisiti più ampi: riconoscere i vari aspetti del reale, avere coscienza delle proprie abilità, cooperare con altre persone dotate di differente bagaglio culturale, fronteggiare l’incertezza con una disposizione a trovare risposte utili, ma anche a creare cultura, attraverso il lavoro.

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  4. Non esiste una Economia della Conoscenza, esiste una economia sempre piu’ influenzata dalla Società che condivide la conoscenza.
    Da sempre l’economia e’ stata influenzata dalla conoscenza (la culla del commercio moderno e’ stata anche l’Olanda del XVII secolo dove Amsterdam era il porto piu’ importante del mondo;tutto cio’ grazie al sapere (conoscere e ralazionarsi) ). Quello che oggi cambia e’ la velocità e la granularità della condivisione e della collaborazione sulla conoscenza.
    Da notare anche che il fenomeno riguarda un’allargamento della schiera dei “colletti bianchi” oggi abbiamo solamente un numero maggiore di detentori del sapere, abbiamo abbasato alcune delle soglie, ma ricordo che questa schiera di nuovi adepti del Sapere si lascia comunque alle spalle una maggioranza che non “accede” ;dal digital divide al “Knowledge Divide”(sempre presente nella storia dell’uomo).
    Quello che potrà cambiare radicalmente lo scenario potrebbe essere la nascita di nuovi modelli di Collaborazione che si basano sui presupposti della società della conoscenza. Ma anche in questo caso sono perplesso sul fatto che tutto cio si traduca in un cambiamento dei modelli dell’Economia come la conosciamo oggi.

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  5. Comprendo perfettamente le annotazioni di Michele Leidi che condivido, infatti il termine Economia della Conoscenza è solo un pretesto per interrogarci sulla Società della Conoscenza, come è stata definita, quella in cui viviamo, post moderna, liquida e per certi versi, iperconnessa. Le nuove piattaforme di collaborazione, le nuove prassi collaborativi porteranno ad una creazione di valore anche economico e ad una riduzione dei diversi divide? Da qui il termine Economia della Conoscenza, inteso più come speranza. Avendo moderato l’intervento di Gianandrea allo IULM credo di averne compreso anche gli intenti.

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  6. Nel passaggio tra la societa della informazione alla societa’ basata sulla conoscenza cambia il rapporto tra cultura ed innovazione . Possiamo infatti constatate come la crescita esponenziale di trasferimento quantitativo informazioni economiche, scientifiche e tecnologiche , ottenuto sia con l’ utilizzazione del mass media e di internet, non riesca a tradursi in un cambiamento produttivo della piccola e media impresa , capace di indurre ed elevare socialmente e produttivamente la effettiva qualita’ delle conoscenze La Economia della Conoscenza non emerge solo dalla trasferimento tecnologico che rappresenta solo l’innesco di un sistema complesso di cambiamento nel quale la innovazione tecnologica , è necessaria ma non sufficiente a modificare la mentalita della gente in favore di un effettivo sviluppo della economia della conoscenza. Infatti per la attuazione della economia della conoscenza deve mutare il paradigma di riferimento cognitivo da quello di una ormai obsoleta impostazione “meccanica quantitativa” a quello basato sulla qualita della vita per il quale si vanno a modificare , le abitudini, i desideri, i bisogni, i comportamenti su cui costruire nuove forme di business e comunicazione. Di conseguenza l’ elemento di criticita’ attualmente quello di superare la fase di una facile moltiplicazione di informazioni, per attuare una sistema di innovazione capace di rielaborare le informazioni in conoscenze significative e produttive che perseguano la scelta di
    sviluppare potenziare e sostenere la diversita sia culturale che produttiva in modo da essere in grado di saper coniugare risorse economiche e produttive con i valori culturali ed artistici di un territorio .
    Paolo Manzelli pmanzelli@gmail.com http://www.edscuola.it/lre.html

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  7. Manzelli, condivido il suo commento e la necessità di modelli più complessi. Per questo da tempo dico che la sfida della società della conoscenza porta con se anche la sfida della complessità (solo parzialmente affrontata in questi ultimi trent’anni).

    Io credo che i modelli, le prassi, le tecnologie e le persone in grado di produrre cambiamenti, per esempio in certi ambiti aziendali, vi siano da tempo. Quello che è mancato è stato un modello di economia e società in grado di trasformare la concorrenza e il merito in sistema.

    Bisogna vedere se quanto la crisi sarà opportunità e non solo freno e quanto il comportamento delle persone dal basso modificherà le cose.

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